Casa per la pace Milano

“Il mondo ha bisogno di persone che investano nella pace quanto altri investono nella guerra” (M.K.Gandhi)

Cos’è Casa per la Pace Milano?

Casapace Milano è un’associazione di promozione sociale nata nel 2000 dall’incontro di diverse organizzazioni locali già esistenti, tra le quali il Gruppo Pace di Sant’Angelo, con decenni di esperienza nel campo della promozione della pace e della gestione nonviolenta dei conflitti. Piergiorgio Mora, che non c’è più, Antonio Brocca, un grande generoso vecchio e Pierluigi Rossi, con un piccolo gruppo di giovani, sono stati i promotori dell’iniziativa nella comunità. Casapace si può definire come un laboratorio permanente di pratiche nonviolente, attraverso la facilitazione, la formazione, il teatro sociale, l’azione nel territorio con iniziative in rete locali e globali.

Tutti i progetti e le azioni di Casapace sono volti alla facilitazione di processi di trasformazione dei conflitti, al contrasto delle diverse forme di discriminazione, all’empowerment delle persone a rischio di marginalizzazione e allo sviluppo di una comunità educante nella quale siano garantiti il rispetto dei diritti umani, dell’ambiente e la giustizia sociale.

LE AZIONI

Il Centro Documentazione “Pace & Dintorni”

Negli anni abbiamo raccolto più di 2.000 volumi su argomenti che ci riguardano: economia, ecologia, conflitti, educazione, violenza, nonviolenza, mafia… Tanta roba bella in prestito.

I volontari del Corpo Europeo di Solidarietà e del Servizio Civile

Negli ultimi 12 anni Casapace ha ospitato circa una 30 di volontari europei e una quindicina di Serviziocivilisti. Una presenza importante che  durante un anno sostiene il lavoro di casapace,  portando  domande, idee, energia, conflitti, stimoli, opportunità… Il Blog SVE del nostro sito accoglie molte delle loro interessanti esperienza. Ricordiamo con affetto che Piergiorgio Mora ogni anno li portava a conoscere Milano e che Antonio ha ospitato gratis per tanti anni nel suo appartamento.

Gli interventi nelle scuole e formazione di adulti

Sogniamo che le scuole diventino un luogo dove si “sta bene”, dove i conflitti vengono trasformati in opportunità di crescita, dove si comunica in modo efficace. Fare diventare la scuola una comunità educante, dove si impara, insieme, a partecipare nel mondo, perché questo diventi più giusto, più inclusivo, più bello.  Nella formazione proponiamo un insieme di metodi attivi ed esperienziali che si avvalgono del lavoro di gruppo, dove attraverso dinamiche, giochi, simulazioni, discussioni e tecniche teatrali, gli studenti imparano a condividere i propri vissuti e le proprie emozioni, al fine di acquisire nuove consapevolezze e capacità di scegliere comportamenti diversi

Il progetto ‘Oltre confine’

Lavorare sui micro conflitti è tutto sommato facile. Rapportarsi con le violenze strutturali è più faticoso. Cerchiamo di conoscere, analizzare, capire alcune realtà e, per quanto ne riusciamo, a sostenere le vittime: l’occupazione  della di Palestina e la durissima situazione dei migranti che vogliono arrivare in Italia facendo la ruta balcanica, sono due dei progetti che seguiamo da anni.

Il ‘Teatro dell’Oppresso’

Il Teatro dell’Oppresso (TdO) è una raccolta di strumenti teatrali nato, durante i tempi della dittatura brasiliana, dalla necessaria ricerca di nuovi processi di creazione e discussione collettiva. E’ innanzitutto un attrezzo pratico e creativo che può essere utile per creare insieme uno spazio di apprendimento e sperimentazione rispetto alle oppressioni e alle ingiustizie della vita quotidiana, anche attivando lo spettatore ponendolo al centro del lavoro teatrale.

Lo ‘Sviluppo di comunità’

La sede della Casapace è nel quartiere Corvetto, periferia sud della città. Lo scopo dello sviluppo di comunità è il miglioramento di un quartiere per tutti i suoi abitanti grazie alla partecipazione di tutti. Orienta le azioni e le competenze di individui e di gruppi perché possano esprimere le proprie capacità e le proprie risorse nella ricerca collettiva di soluzioni e di risposte ai bisogni e desideri che emergono dal luogo dove vivono.

La scuola di italiano per stranieri

L’accoglienza di persone che svolgono Lavori di Pubblica Utilità come alternativa al carcere.

La partecipazione attiva alla ‘Rete Corvetto’ ( una realtà interessantissima, un tentativo di coordinare il terzo settore della zona, attraverso una struttura leggera che permette lo scambio e l’ottimizzazione delle risorse di tutte le organizzazioni partecipanti, con lo stesso scopo dello sviluppo di comunità)

La tenda del silenzio

Durante anni Casapace ha contribuito e sostenuto logisticamente e con contributi formativi la Tenda del Silenzio, iniziativa che una volta all’anno consente di sperimentare e condividere uno spazio di preghiera aperto a tutte le religioni.

Casapace esiste  grazie a tanti sostenitori, fra i quali la Comunità Sant’Angelo che negli anni ha accompagnato i progetti e le iniziative, condividendone valori di riferimento e obiettivi.

Capire ciò che celebriamo

IlTriduo pasquale” inizia con la Messa serale del Giovedì santo, ha il suo fulcro nella Veglia pasquale e termina con i Vespri della domenica di Pasqua. Di per sé corrisponde ai tre momenti di morte, sepoltura e risurrezione del nostro Signore.

Con la Messa vespertina del Giovedì santo celebriamo l’istituzione dell’eucaristia. Nel rito eucaristico Gesù anticipa l’offerta di se stesso in prospettiva di vittoria, guardando cioè verso la risurrezione. Prima della morte, Gesù affida alla sua Chiesa “il nuovo ed eterno sacrificio” perché venga perpetuato in sua memoria. Siamo così invitati a nutrirci al convito nuziale del suo amore.

 Il Venerdì santo celebra la morte vittoriosa del Signore. Ciò è proclamato nella Passione secondo Giovanni, che racconta di un Gesù “elevato” o “innalzato” sia sulla croce e sia alla gloria. E questo ci vuole ricordare anche l’adorazione della croce che nell’antifona iniziale dice “dal legno della croce è venuta la gioia in tutto il mondo”.

Il Sabato santo.  Siamo invitati a fare nostro e prolungare l’atteggiamento delle pie donne che, dopo la sepoltura di Gesù, stavano “sedute di fronte alla tomba” (Mt 27,61).  La raccomandazione di sostare presso il sepolcro è in vista dell’attesa della risurrezione del Signore. Un tema specifico, anche se un po’ messo da parte, oltre al riposo di Cristo nel sepolcro, è la sua “discesa agli inferi”. Si tratta di un articolo fondamentale della nostra fede per cogliere il senso profondo della Pasqua: Cristo incontra Adamo e gli altri giusti che giacciono “nelle tenebre e nell’ombra di morte”: ad essi il Redentore annuncia la salvezza e apre le porte del regno dei cieli. «Due le realtà espresse: Cristo è veramente morto ed è rimasto anche nello stato di morte, è entrato nel regno dei morti, che la Scrittura chiama “inferi”. Gesù nella sua morte ha abbracciato senza restrizioni il tragico destino dell’uomo. Ma la solidarietà di Cristo con gli uomini non è solo dentro la morte, ma anche oltre la morte: Egli ha vinto la morte e ha aperto agli uomini di tutti i tempi, da Adamo in poi, la via della speranza e della salvezza. E’ quanto esprime l’inno delle Lodi mattutine del Tempo di Pasqua: “Dagli abissi della morte / Cristo ascende vittorioso / insieme agli antichi padri”.»

La Veglia pasquale. «Il simbolismo fondamentale di questa Veglia pasquale è quello di essere una “notte illuminata”, anzi una “notte vinta dal giorno”, dimostrando mediante i segni rituali che la vita della grazia è scaturita dalla morte di Cristo.» La Veglia si fa di notte per simboleggiare il passaggio dalla notte al giorno radioso. «La celebrazione vigiliare introduce i partecipanti nella contemplazione della Pasqua in tutte le sue dimensioni: la liturgia della luce o “lucernario” (benedizione del fuoco nuovo, accensione del cero pasquale e canto dell’Exultet o annuncio pasquale) celebra la Pasqua cosmica, che segna il passaggio dalle tenebre alla luce; la liturgia della Parola ( con sette letture dell’Antico Testamento più due del Nuovo) celebra la Pasqua storica evocando i principali momenti della storia della salvezza; la liturgia battesimale celebra la Pasqua della Chiesa, popolo nuovo suscitato dal fonte battesimale; la liturgia eucaristica celebra la Pasqua perenne ed escatologica con la partecipazione al convito eucaristico, immagine della vita nuova e del regno promesso. …

Si noti che tutto il significato del Triduo pasquale sta nel suo dinamismo interno di “passaggio”, di avvio e inizio di un nuovo stato di cose, di una nuova situazione che si instaura proprio in forza degli eventi commemorati nei giorni del Triduo.»

Il passaggio non è automatico, non è per nulla scontato: bisogna passare attraverso la notte e saper attendere il giorno; bisogna sostare nel mistero del dolore e della morte. Soprattutto, abbiamo bisogno di crescere nella fede per scorgere la presenza viva di Gesù nella nostra storia. (da AUGÉ M., L’anno liturgico. È Cristo stesso presente nella sua Chiesa, Libreria Editrice Vaticana 2009, p. 140-150)

I frutti della Comunità: il Centro Internazionale HelderCamara

Ogni uomo, con le sue azioni e con le sue omissioni, è responsabile del destino dell’umanità. (Helder Camara)

COME NASCE

Il Centro Internazionale Helder Camara (CHC) Onlus nasce nel 2000 nell’ambito della Comunità Ecclesiale di Sant’Angelo, costruita intorno alla messa delle 11 celebrata da padre Cesare Azimonti dell’Ordine dei Frati Minori Francescani, frate del Convento di Sant’Angelo, nel cuore di Milano.

E nasce su spinta e impulso dell’ingegner Gianfranco Stella, un visionario appassionato, fondatore, padre e anima di questa associazione, voluta come segno profetico e concreto del Giubileo che si svolse quell’anno.

La Comunità si raccolse allora intorno all’idea di Gianfranco, che era quella di dar voce a chi non l’aveva, di fare da amplificatore ad iniziative che, nel mondo, si rivolgevano in particolare a minori, bambini e ragazzi, vittime di violenza o semplicemente di situazioni di deprivazione e povertà educativa. E colse come indicazione programmatica il pensiero e l’azione di dom Helder Camara, vescovo brasiliano promotore di una lotta non violenta ma efficace per superare le ingiustizie che, soprattutto in alcuni contesti del pianeta, rendono la vita sempre più disumana.

Negli anni le azioni dell’associazione si sono diversificate, ma la missione è sempre rimasta la stessa: dare voce a chi non ne ha, battersi con azioni concrete perché le persone, ovunque si trovino, abbiano stessa dignità e stessi diritti. E fare cultura su questi temi, coinvolgendo mondi diversi, ma orientati a diffondere un’idea di fraternità, a proporre cambiamenti a partire dalla costruzione di una società più giusta. (Link ai cicli dei “mercoledì”)

CHI SIAMO

Il Centro Internazionale Hélder Camara (CHC) è un’associazione di volontariato – ODV (ex ONLUS) legalmente riconosciuta, indipendente e laica, che si propone di tener viva la testimonianza profetica e l’insegnamento di dom Hélder Camara (link), con attenzione particolare ai valori della giustizia e della pace.

I soci sono persone con esperienze e formazione diverse, che condividono missione e valori dell’associazione.

La missione e i valori

Il CHC è un’associazione che crede nei principi di equità, responsabilità, solidarietà, partecipazione.

In accordo con i principi promulgati dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (link) e con quelli contenuti nella Costituzione della Repubblica Italiana (link), intende:

promuovere il rispetto della giustizia, della legalità, dei diritti e delle libertà fondamentali, senza distinzioni di etnia, sesso, età, lingua e religione

favorire la laicità, il dialogo tra i popoli e tra le culture

valorizzare e rafforzare le culture locali e le competenze delle comunità.

I PROGETTI

Negli anni le attività e i progetti del CHC si sono sviluppate su due fronti, l’impegno diretto a sostegno di comunità bisognose, in diversi Sud del mondo e la sensibilizzazione del contesto sociale.

A partire dal progetto Giovani Cittadini di un Unico Mondo, che ha visto coinvolte anche realtà in Congo e Zambia, sono seguiti i progetti a sostegno degli ex bambini di strada di Padre Kizito in Kenya e soprattutto la collaborazione con la Comunità di Kwama, in Sierra Leone, con cui si è costruito nel tempo un rapporto privilegiato di amicizia e collaborazione.

Parallelamente sono state realizzate azioni per la sensibilizzazione del contesto italiano, con interventi nelle scuole, realizzazione di convegni e conferenze, progetti di promozione dei diritti e la costante promozione dei valori di giustizia e pace attraverso le nuove tecnologie.

Perché la Sierra Leone

Un incontro quasi casuale, ma provvidenziale. Dopo la conclusione della feroce guerra civile che aveva insanguinato la Sierra Leone per oltre 10 anni, lasciando un paese in macerie, distrutto non solo materialmente, ma anche moralmente, venne a Milano e fu ospitato in Sant’Angelo padre Giuseppe Berton, missionario saveriano da una vita in quel paese. Padre Berton raccontò la situazione drammatica nella quale si trovavano le migliaia di bambini soldato arruolati dai contendenti, bambini ai quali era stata rubata l’infanzia, addestrati ad uccidere senza pietà i loro stessi famigliari. Finita la guerra, questi bambini, spesso mutilati nel fisico, ma distrutti anche nello spirito e nella mente, avevano estremo bisogno di essere, se possibile, recuperati alla vita. Per questo obiettivo Berton aveva un progetto, quello di costruire case per famiglie che si facessero carico di questi ex bambini soldato e chiese, in quell’occasione, aiuto. Il Centro Helder Camara rispose e in poco tempo, nel villaggio di Kwama, non distante dalla capitale Freetown, furono costruite 70 casette, che resistono ancora, per ospitare famiglie accoglienti e ragazzi reduci dalla guerra.

E questo è stato l’inizio.

Conoscendo la realtà e i suoi bisogni, l’impegno dell’associazione è andato via via ampliandosi e nel corso degli anni è stata creata una rete di 16 villaggi sempre nell’entroterra rurale delle capitale, la Community Based Organization (C.B.O.) formalizzata poi nel Kwama Community Development Programmes (KCDP), diventata il nostro interlocutore sul territorio.

E negli anni l’impegno si è moltiplicato:

  • a partire dai bisogni igienico/sanitari, ogni villaggio è stato dotato di un pozzo per l’acqua potabile, sono state costruite latrine per i villaggi e per le scuole,
  • è stato organizzato un centro di formazione professionale per sarti, falegnami, fabbri, muratori, informatici (foto)
  • si è costruito un centro comunitario polivalente per la vita sociale
  • aperto uno show-room per la vendita di prodotti locali
  • si è dato sostegno all’attività dell’unico ambulatorio medico presente sul territorio
  • un centro educativo per la promozione delle attività agricole e la fornitura di input agricoli tramite il micro-credito
  • l’acquisto di strumenti per la coltivazione, un piccolo trattore, macchine per la lavorazione di riso e cassava, sementi, concimi, antiparassitari, sempre in dimensione comunitaria
  • l’acquisto di un pick-up per il coordinatore, i trasporti e gli scambi tra villaggi
  • dopo Ebola, la costruzione di una casa per 10 bambini orfani e abbandonati per strada (casa Bethany)
  • poi, più di recente, l’impegno con le scuole, costruzione, ristrutturazione, arredamento, borse di studio ecc.

• Oggi la Comunità di KWAMA raggruppa circa 10.000 persone che vivono in 16 villaggi; sono nate 20 “community farm” per 400 agricoltori ed è stato costituito un fondo economico comune, alimentato dalle varie attività comunitarie ed utilizzato per le priorità riconosciute nelle riunioni dei capi villaggio dopo aver consultato la popolazione. Il coordinatore locale, mr. Clement A. Kanu, è il nostro referente da 15 anni, ed è riconosciuto, ascoltato e perfettamente integrato nella comunità nella quale vive con la sua famiglia. Inoltre, dopo la partenza dei Missionari Saveriani, collaboriamo sul territorio con i padri David, Francis e Valery della Società delle Missioni Africane (SMA Fathers), in collegamento con l’ Arcivescovo di Freetown, che accompagna costantemente l’azione dell’associazione.

 In tempi più recenti, su sollecitazione e richiesta di amici sierraleonesi che vivono in Lombardia, abbiamo iniziato progetti in altri due villaggi, situati nel centro e nel nord del paese, Makonday e Mamanso Sanka, investendo soprattutto sulla scuola (vedi progetti specifici).

Pasqua festa di liberazione

Si preparano i giorni della Pasqua e il cuore è in ansia soprattutto in questo tempo di pandemia. La Pasqua è liberazione, è primavera, è inizio di vita nuova: tutte realtà che desideriamo e aspettiamo, soprattutto quest’anno.

C’è un crescere della Pasqua: anzitutto è primavera, è riprendere della luce, dei colori, dei sogni. È come il grande mantello che raccoglie e protegge cose ben più importanti.

Il cuore vero della Pasqua è la liberazione. Non piccolo tentativo nostro di aprirci, di farci migliori ma atto generoso di Dio che ci rende partecipi della prima grande liberazione di cui parla la bibbia: liberazione da una schiavitù politica, passaggio da un mare che seppellisce i nemici come segno di un nuovo inizio. Penso alla nostra confusione politica, al farsi acuta della crisi economica e chiedo al Signore che ci aiuti in quell’inizio di fraternità che nacque da quel suo primo intervento.

C’è poi la Pasqua di Gesù, la sua risurrezione che è nel cuore della fede della chiesa e che diventa il destino di tutti gli uomini, anche di quelli che sbagliano ma poi riaprono il cuore.

Ma la Pasqua di Gesù è la Pasqua dell’universo: ha strappato tutta l’umanità dal suo destino di morte ed è esperienza di liberazione per noi ogni giorno. Ecco perché la Pasqua è così bella, importante, decisiva. Gesù Risorto non è solo: prende per mano ognuno di noi.

padre Cesare Azimonti

Il gruppo America latina

Il Gruppo America Latina della Comunità di Sant’Angelo nasce nel 1976 in risposta a una domanda: la richiesta, un vero dono, viene rivolta alla nostra Comunità durante il periodo di Avvento, dalla Comunità brasiliana di Itaguarù (Stato del Goiàs) attraverso Luisella Ancis, una volontaria laica italiana, tuttora residente in Brasile.

Nasce così il «Gruppo Brasile», che diventerà gruppo America Latina nel 1992, per avere risposto a un’altra chiamata, a un appello di Padre Rutilio Sánchez (collaboratore di Mons. Oscar Romero) che chiedeva sostegno per le comunità impoverite e dilaniate dalla guerra civile in El Salvador.

Le ragioni e il senso del gruppo stanno così nelle origini e nel suo cammino: l’incontro e la solidarietà fra persone che si fa incontro fraterno di comunità, per poi diventare cammino di chiese sorelle.

Nel corso degli anni, la Comunità di Sant’Angelo ha accompagnato e sostenuto l’opera di Luisella Ancis e di Frei Fernando de Brito, quando insieme lavoravano alla coscientizzazione e animazione della piccola comunità rurale di Itaguarù. Abbiamo continuato a sostenere Luisella nel suo servizio ai più poveri e ai più piccoli, a Volta Redonda, cittadina industriale vicina a Rio de Janeiro e poi a Belo Horizonte dove attualmente anima la Ong IUNA, che si occupa di minori a rischio e delle loro famiglie del bairro Saudade, una delle favelas più grandi e problematiche della città. Attualmente IUNA accoglie ogni giorno circa 250 bambini e adolescenti, a cui offre corsi di Capoeira, un aiuto scolastico di sostegno, l’insegnamento dell’informatica, visite a musei, corsi di musica, di danza e di narrativa, e corsi di formazione professionale. Viene anche offerta una merenda ai bambini della favela, che spesso costituisce il loro unico pasto quotidiano.

Frei Fernando, domenicano brasiliano che ha sopportato nella sua carne le ferite del carcere e della tortura infertegli dalla dittatura militare, ci ha insegnato l’importanza dell’amore per la terra e le sofferenze della sua riconquista, con la sua opera di organizzazione delle lideranze sindacali e con l’infaticabile azione in difesa dei perseguitati; e ci ha poi consentito di scoprire il senso profondo dell’ascolto e dell’apertura all’ecumenismo, quando la sua missione lo ha condotto a Bahia.

Nel corso degli anni abbiamo dato ascolto alle invocazioni di aiuto dei Sem Terra, accompagnando il percorso di formazione di Otacilio, Alair e altri amici del sindacato della terra, per diventare leaders sindacali agrari.

L’appoggio alla riconquista della terra, bene indispensabile alla vita di milioni di contadini, ci conduce ad appoggiare anche i progetti educativi dei Sem Terra nel Goias e l’opera di evangelizzazione e organizzazione di frate Rodrigo Peret Ofm in Minas Gerais (Brasile).

Grazie a Dom Tomas Balduino, per molti anni Vescovo in Goiàs a lato delle lotte dei poveri, abbiamo conosciuto e per molti anni accompagnato l’infaticabile lavoro degli operatori dell’Ospedale San Pio X di Ceres, fondato con l’esclusiva finalità di prestare assistenza medico-ospedaliera ai pazienti privi di risorse economiche. Contribuire all’acquisto di un macchinario per i raggi X, alla riparazione del tetto, all’apertura di un padiglione per una maternità umanizzata sono state occasioni, per la Comunità, di farsi prossimo a chi operava in condizioni proibitive per assistere fratelli altrimenti in abbandono totale.

La nostra amica Soave Buscemi, teologa biblista che ha scelto di vivere in Brasile oltre trent’anni fa per condividere vita e Bibbia con gli ultimi e gli impoveriti, ha condiviso con noi la domanda dei Senza Terra del sud del Brasile e poi la sfida di costruire, anche col nostro aiuto, la Casa Ecumenica Recriando a vida, che si trova nella periferia di Lages, nel quartiere marginale Gralha Azul. La Casa è nata per la volontà di offrire uno spazio di incontro e formazione per donne e madri di famiglia, che costituiscono, insieme ai loro figli, una fascia molto vulnerabile della società brasiliana. La Casa ha organizzato gruppi che lavorano per la produzione di biscotti e pane, sapone, artigianato e orti, in una logica di economia solidale che crea anche un piccolo reddito familiare.

Nel 1992 alla nostra comunità giunse la domanda, il grido, di El Salvador, il più piccolo paese del Centro America, martirizzato da 12 anni di guerra appena terminata, attraverso le voci e il volto di Padre Rutilio (Tilo) Sánchez e di Mariella Tapella. Ma dietro loro più di cinquanta comunità, uomini e donne sofferenti, a chiedere la condivisione di un cammino. Come potevamo rispondere no? E benedetto è stato il nostro sì, che ha preso le forme di forni solari, biblioteche popolari, adozioni a distanza, corsi biblici… Ancora oggi, accompagniamo la straordinaria e infaticabile opera di solidarietà, educazione e coscientizzazione sostenendo il lavoro di un promotore, figura di educatore che opera e vive nelle comunità. Ma il dono più bello viene da loro: l’incontro con la straordinaria figura di Monsignor Romero, la forza di una fede semplice che sa incarnarsi nella vita, la fraternità di comunità sorelle pur se distanti.

L’America Latina è il luogo dell’anima e dello spirito che ha dato il nome al nostro gruppo e ha costituito il volto di questa comunità: in questo senso è stata per noi come un battesimo, una rinascita comunitaria e personale, un’identità sempre nuova che ha segnato il cammino e le scelte dell’intera comunità di Sant’Angelo. In Brasile e in Salvador siamo andati «a scuola»: abbiamo viaggiato, incontrato il mondo impoverito, non per inviare aiuti, ma per accompagnare persone e comunità, ricercando le cause della povertà e delle situazioni di oppressione che incontravamo. 

Oggi continuiamo a sentirci interpellati da un continente ancora sotto assedio per troppe questioni rimaste irrisolte: una riforma agraria mai realizzata, l’agrobusiness che sottopone aree enormi a sfruttamento agricolo intensivo, lo sfruttamento minerario che inquina ed è causa di danni ambientali e umani incalcolabili. Per tutto questo, per i fratelli del Brasile e del Salvador che con fedeltà non vengono meno al loro impegno a fianco degli impoveriti, per la loro lotta in difesa della giustizia, anche noi teniamo fede alla nostra scelta di sostenere progetti, organizzazioni di base e comunità che hanno bisogno della nostra solidarietà. 

Abbiamo un debito di riconoscenza nei loro confronti. Abbiamo infatti ricevuto e continuiamo a ricevere più di quanto abbiamo creduto di dare: l’America Latina ci ha insegnato a muovere i primi passi verso una visione globale dell’umanità, visione che ci ha aiutato e ci aiuta ancora oggi a comprendere meglio la nostra realtà e a cogliere le nuove sfide e le speranze che le accompagnano: dalla teologia del pluralismo religioso all’impegno in difesa del diritto umano all’acqua, dalla sovranità alimentare all’ambiente. Novità di cammino che abbiamo riconosciuto prima là e poi qui, nel nostro cosiddetto primo mondo. 

Ma la novità più profonda che le comunità latinoamericane continuano a donarci, consiste anche nel farci capaci di riconoscere e credere nelle potenzialità dei piccoli e dei poveri; nel farci riconoscere che non siamo noi a dover agire per loro: sono loro stessi – e forse solo loro – che, insieme, potranno fare il Regno e mutare la storia. Noi siamo chiamati a farci loro fratelli, prossimi e minori, una volta tanto… 

Siamo chiamati a uno sguardo nuovo, una mente e un cuore libero, una concezione differente di vita felice e di bene condiviso; siamo chiamati a imparare da loro, che da quelle terre lontane continuano a darsi interamente per la giustizia, per la comunione, per una vita degna per tutti.

Per informazioni sui Progetti del Gruppo America Latina: mara.castelli@gmail.com

Gruppo America Latina

Una Buona Notizia: la vita come dono

La mia storia si potrebbe intitolare “Dalle notizie alla buona notizia” perché mentre pensavo di fare carriera come giornalista cercando la verità, la Verità del Vangelo ha trovato me.

Ma cominciamo dall’inizio: nel 2018 avevo 29 anni, lavoravo come giornalista, ero fidanzata da quattro anni e mezzo e la mia vita sembrava procedere su binari prestabiliti. Eppure, i conti della mia vita non tornavano mai: avevo tutto ma sentivo di non avere nulla, mi mancava sempre qualcosa. La mia fede, d’altra parte, era inesistente: non andavo a Messa da diversi anni e non credevo in Dio. Mi riusciva davvero difficile credere in un Creatore che guidava i miei passi e che prometteva una vita dopo la morte. Non riuscivo ad andare oltre la vista di un corpo mortale, eppure fin da piccola ero in ricerca di risposte. Col passare degli anni, le domande si sono fatte più insistenti e non mi facevano stare tranquilla; mi mettevano sempre alla ricerca di qualcosa (o meglio, di Qualcuno, anche se allora non lo sapevo). 
Desideravo una vita piena, così ho iniziato a cercare quella bellezza e quella libertà nei viaggi, nelle esperienze e nella conoscenza. Ma il tempo continuava a scorrere senza dare risposte, scivolando via dalle dita come sabbia e trascinando con sé amicizie, amori, luoghi, stagioni e paesaggi. L’unica destinazione possibile sembrava la fine di ogni cosa, senza nessun senso se non quello del caso. 

Allora non sapevo che le domande erano il modo con cui Dio mi parlava e mi chiamava. Le domande non mi lasciavano in pace perché… Dio non voleva lasciarmi in pace! Cercavo ed ero cercata. Non credevo nell’amore e senza saperlo ero amata. 

Così, nel 2018 Dio ha fatto la sua comparsa improvvisa nella mia vita, facendomi intuire, fin da subito, che quando si ha a che fare con Lui non esistono le mezze misure, cioè o lo ami con cuore indiviso o non lo ami. Una vera e propria “folgorazione sulla via di Damasco” che ha messo sottosopra la mia vita, perché passare dall’ateismo a una possibile consacrazione è un gran passo… anzi, è proprio un salto carpiato! Ma si sa, quello che è impossibile all’uomo è possibile a Dio, dato che le sue vie non sono le nostre vie.

Il Mistero di una chiamata e di qualsiasi vocazione penso sia così grande e al di fuori della nostra portata, che è impossibile cercare di spiegarlo in modo esauriente. Penso che questo Mistero sia come quello della vita: ne facciamo esperienza tutti i giorni, ci attraversa ma allo stesso tempo ci supera perché è molto più grande di noi. 

Questo per dire che, dopo quel primo incontro con il Signore, Lui ha lavorato il mio cuore in un modo che non so spiegare sempre razionalmente e che non smette di sorprendermi, però so che è successo. Per usare una metafora biblica, direi che ha fatto il lavoro del vasaio, mi ha modellato.

Da quel momento, comunque, sono passati circa due anni in cui Lui mi ha fatto aprire progressivamente gli occhi sulla realtà. La storia di San Paolo spiega come Dio agisce: Lui prima cerca l’uomo, che rimane “accecato” da questo incontro, poi gli mette sulla strada persone e strumenti che gli permettono di tornare a vedere. I nuovi occhi che si aprono sulla realtà, però, non sono più gli occhi di prima: lo sguardo è cambiato per sempre.

Ecco, nel corso di questi due anni ho avuto tante occasioni di incontro per comprendere la volontà del Signore (che coincide con i nostri desideri più profondi), in particolare la preghiera e i sacramenti. Ho capito che senza la Chiesa non c’è incontro, perché lì possiamo fare esperienza della presenza di Dio, del suo perdono, della Parola e delle relazioni con altri compagni di cammino. 

Così, di coincidenza in coincidenza (qualcuno le chiama “Dio-incidenze”), sono arrivata ad Assisi, dove ho ricevuto anche un mandato missionario per Betlemme, e poi al percorso delle 10 Parole. Il confronto assiduo con la mia guida spirituale mi ha aiutato a scorgere con più evidenza le parole che Dio voleva consegnarmi. Nella preghiera, i sacramenti, il volontariato, e anche attraverso gli incontri con fratelli e sorelle, Dio progressivamente ha confermato quell’intuizione iniziale. 

La vocazione non è una fede teorica o idealizzata, ma l’esperienza concreta di uno sguardo innamorato, di Qualcuno che si propone, si dona e chiede di donarsi senza paura e senza riserve. 

Ritornando alla metafora del vasaio, in questi due anni Dio ha lavorato moltissimo nel mio cuore, modellandomi per eliminare tutte le storture e per far emergere la vera bellezza che era in me. Eppure, tante volte ho cercato di oppormi alla Sua opera scappando o ribellandomi a Lui e a quello che io stessa sentivo e desideravo. E il Signore, come nel passo di Geremia, altrettante volte ha ripreso in mano l’argilla che si era guastata e si è rimesso pazientemente al lavoro. 

Dio sapeva che prima di seguirlo avrei dovuto sciogliere diversi nodi e avrei dovuto mettere ordine nella mia vita, così mi ha fatto camminare per oltre un anno nella Chiesa di Sant’Angelo. Considero il percorso delle 10 Parole come un vero e proprio dono da parte di Dio. Fin dal primo incontro ho capito di essere nel posto giusto, perché ogni catechesi sembrava scritta appositamente per me. Dicono che succede questo quando Dio vuole consegnarti una parola importante per la tua vita. 

E, visto che si arriva a un grande “Sì” attraverso tanti piccoli “sì” quotidiani, posso dire che il cammino delle 10 Parole sia stato uno dei “sì” più importanti nel mio percorso di discernimento.

Di recente sono entrata come aspirante tra le Clarisse Francescane Missionarie del Santissimo Sacramento a Bari, dove si trova la sede dell’accoglienza stabile, prima tappa del cammino. Il loro carisma viene detto “contemplattivo”, cioè contemplativo e attivo allo stesso tempo, perché si vive la preghiera con lo sguardo contemplativo di Santa Chiara e l’attività apostolica con il cuore missionario di San Francesco, il tutto con l’Eucarestia al centro. 

Insomma, da Milano a Bari, da atea a innamorata di quel Gesù in cui non credevo, da giornalista ad aspirante consacrata, prima con il microfono in mano, ora con la chitarra in mano… chi l’avrebbe mai detto! 

Penso che Dio abbia davvero tanta fantasia e anche un buon senso dell’umorismo, perché a volte gioca dei gran bei scherzetti. Di certo, quando ci si inizia a fidare di Lui, ad ascoltarlo e a seguirlo, la vita cambia. 

Se si ha il coraggio di mollare gli ormeggi e di prendere il largo, si può andare molto lontano con Lui. 

E magari quel “lontano” è nella propria città, ma fuori dai vecchi schemi e dalle proprie certezze, con occhi nuovi e con un cuore nuovo. A volte invece il distacco è più radicale e ci si ritrova in città e Paesi fisicamente lontani a fare cose che non si sarebbe mai pensato di fare. Quel che conta però non è tanto la geografia fisica, ma la geografia del cambiamento interiore, che porta verso la terra promessa della propria vocazione.

Questo viaggio avventuroso della fede non mette al riparo dal rischio, ma penso che il pericolo più grande sia quello di non partire mai e di rimanere nel porto per tutta la vita perché non si ha avuto il coraggio di vedere il mare aperto.

Alla fine, la verità più importante della vita è una sola, e il percorso delle 10 Parole mi ha aiutato a farne esperienza: Dio esiste, si è rivelato in Gesù e ci ama di amore eterno. Per usare il linguaggio giornalistico, è questa la notizia!

Cinzia

11 febbraio – Quel mondo diverso 

Per il ciclo “Ri-costruire: il mondo che vorremmo”

Quel mondo diverso. Da immaginare, per cui battersi, che si può realizzare.

Incontro in diretta streaming con Fabrizio Barca e Enrico Giovannini
Giovedì 11 febbraio ore 20:30

È il momento di ripensare il nostro mondo secondo un’altra logica; anzi di realizzare quel mondo diverso che non
abbia il Pil come misura del benessere del cittadino, che non rimetta nelle mani dei tecnocrati decisioni tutt’altro
che tecniche, che smetta di considerare l’ambiente una quinta teatrale, che impedisca il formarsi di disuguaglianze
insostenibili, che garantisca al massimo numero di persone le medesime opportunità. È quel mondo in cui si torna
ad ascoltare la voce dei cittadini e dei lavoratori affinché scelgano e non subiscano il futuro. Parleremo delle
ragioni che hanno portato al fallimento del modello neoliberista e del sentiero che la società civile e una nuova
classe politica progressista potrebbero intraprendere per ripensare il mondo secondo altri principi.

Fabrizio Barca, statistico ed economista, già dirigente di ricerca in Banca d’Italia e di politica pubblica nel Ministero Economia e Finanze, presidente del Comitato Ocse politiche territoriali e ministro per la Coesione territoriale nel governo Monti. Ha insegnato in università italiane e francesi, è membro della Fondazione Basso e coordina il Forum Disuguaglianze e Diversità.

Enrico Giovannini insegna Statistica economica all’Università di Roma “Tor Vergata” e Sviluppo sostenibile alla Luiss. È stato, tra l’altro, chief statistician dell’Ocse, presidente dell’Istat e ministro del Lavoro e delle Politiche sociali nel governo Letta. Ha promosso la creazione, nel febbraio 2016, dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, di cui è portavoce.

I frutti della comunità: “mamme a scuola”

Per parlare di questa associazione, nata nel 2004 dalla Comunità di Sant’Angelo, partiamo dal fondo, rendendo partecipi, se pur con un po’ di ritardo, tutti coloro che gravitano intorno al Convento di Sant’Angelo dell’attestato di Civica Benemerenza conferito dal comune di Milano all’associazione Mamme a scuola, nell’ambito della Cerimonia dell’Ambrogino d’oro. Ci piace raccontarlo per ricordare insieme come il progetto Mamme a scuola non solo sia nato all’interno di questa Comunità, ma vi sia radicato con volontari, soci, sostenitori e sotto lo sguardo attento e affezionato degli amici.

Ed è cresciuto negli anni anche come tentativo di fare entrare con un segno forte la Parola nella quotidianità, impegnandoci a “spianare nella steppa la strada, innalzare ogni valle, abbassare ogni monte e ogni colle;” scegliendo per questo di affrontare il tema dell’integrazione delle famiglie immigrate che vivono  nei quartieri più fragili della nostra città. 

Per dar concretezza al nostro impegno, uscendo dal Convento, siamo entrate nei territori periferici della città con l’obbiettivo di incontrare ed aiutare le mamme immigrate, presenza numerosa, le madri cioè dell’oltre 25% dei bambini e ragazzi delle nostre scuole, e, come tutte le madri, tassello importante per la costruzione del futuro di questa città.

Donne che vivono fra pregiudizi, immagini stereotipate, indifferenza, isolamento ed enorme solitudine .

Mamme a scuola nasce per scommettere su di loro come elementi di integrazione delle loro famiglie, per creare insieme, noi volontarie e loro, madri e donne, prassi di intervento sui territori che, partendo dai bisogni e dalle loro risposte, concorrano a creare sintesi e sinergia fra culture diverse. Culture che si incontrano, si conoscono, si valutano reciprocamente, dialogano, partendo da un terreno molto comune: quello di essere madri, di essere donne, e per aspirare ad essere con-cittadine ed attrici di costruzione di un Futuro Nuovo.

Una finalità molto alta che parte dalla scuola di lingua italiana, strumento base di conoscenza, relazione e dialogo, e costruisce intorno alla scuola attività in risposta ai bisogni e alle fragilità messe in luce dal lavoro a fianco delle mamme, e attraverso il lavoro di rete con altre realtà nei quartieri in cui operiamo e nella città. Abbiamo sperimentato e continuiamo a “ inventare” intorno alla scuola di italiano attività di tipo educativo e di supporto alla genitorialità  e culturale in senso più ampio, creando occasioni di incontro delle mamme con gli abitanti del territorio nelle quali offrire e ricevere stimoli di riflessione interculturale. E favorendo la riflessione all’interno delle nostre classi di italiano su temi importanti ed alti quali legalità, diritti umani … attraverso materiale didattico finalizzato a questi temi.

Per chi ci vuole conoscere di più segnaliamo il nostro sito www.mammeascuola.it

Ornella Sanfilippo, Presidente

Il volto nuovo della Scuola di Spiritualità

Tutti i lettori di “In Famiglia” e molti altri amici di Sant’Angelo sanno che una delle iniziative più belle e interessanti della locale comunità francescana è la “Scuola di spiritualità francescana”, esperienza originale e quasi unica all’interno delle varie espressioni francescane che riempiono l’Italia.

Bene, la Scuola sta cambiando e si fa nuova possibilità per tante persone. Quando è nata nel quasi lontano 1980, la proposta aveva interessato molto: conoscere Francesco e il movimento francescano per tre vie complementari tra di loro: il sapere, la dimensione francescana, la condivisione fraterna (avevamo trovato tre verbi per la carta d’identità: sapere, pregare, condividere). Francesco ti prendeva tutta la vita: “scuola” voleva dire vita di Francesco e innamoramento del Cristo.

L’impegno non era piccolo: tre anni con frequenza settimanale obbligatoria (giovedì) con uno sviluppo articolato: un tempo di lezione, preghiera del vespro con i frati, cena condivisa, secondo tempo di lezione (dalle 18.30 alle 22.00). Era la vita che si fermava, si interrogava, si faceva preghiera, diventava fraternità.

Molti furono gli studenti in questi anni (50 ogni triennio), ci furono anche dei no per non appesantire il cammino che era (ripeterei) pensare, pregare, programmare, sognare insieme. Francesco ci aspettava, ci accompagnava, ci rimetteva nella vita della città.

La cosa nuova (e forse la più bella) era che la scuola era esperienza di tutta la fraternità. I frati nel contempo si facevano fratelli, accompagnatori, maestri.

L’interesse è andato crescendo e sorgeva ancora il desiderio, il bisogno di farne parte. Avevamo un programma che si apriva coraggiosamente al futuro, ma è arrivato il Coronavirus. Siamo rimasti anche noi smarriti: come ripetere, conservare la dimensione del vissuto, della piena condivisione che si era rivelato il segreto di tutto? Qualche mese di interruzione, poi la necessaria scelta dell’online…

Ci stiamo abituando a fatica, ma il vissuto già ha trovato le strade per nascere e costruirsi. In più abbiamo scoperto di essere una presenza che può donare cose positive al vuoto, all’ansia, alle povertà del tempo presente.

Noi ci troviamo ogni giovedì sera e sentiamo di farci fratelli sempre di più. È difficile ma stupendo, faticoso ma luminoso: è un mondo che si apre e ci aiuta. Aiutiamo anche noi a costruirlo.

padre Cesare Azimonti

Fine della compassione?

Il viaggio disperato lungo la rotta dei Balcani di centinaia di profughi, un esercito di invisibili, uomini adulti, ma anche tante donne, bambini, persino neonati, che percorre un cammino dalla Bosnia attraversando Croazia e Slovenia fino alle frontiere di Trieste e Gorizia, con temperature sotto lo zero, nella neve, tra i boschi, sognando un approdo in Europa sempre più difficile, ecco, questo viaggio sembra non fare notizia. Solo da poco la stampa nazionale ha preso a parlarne, con la lodevole eccezione di Avvenire, che non ha mai spento i riflettori su questo dramma, raccontandoci senza risparmiarci nulla le atrocità che le polizie di Croazia, Slovenia e purtroppo talvolta anche Italia, commettono legalmente sulla pelle dei migranti. Atrocità e violenze che francamente pensavamo non avremmo più visto in Europa.

Da mesi diverse organizzazioni internazionali, associazioni e volontari denunciano le condizioni insostenibili in cui vivono queste persone arrivate attraverso la rotta balcanica della migrazione.

Provengono da diversi paesi, Afganistan, Pakistan, Siria, Bangladesh, Nepal….percorrono una Via Crucis scandita da umiliazioni e sevizie, lungo la quale spesso vengono rimandati indietro al punto di partenza. Molte testimonianze ci parlano di respingimenti multipli, profughi che ogni volta ritentano e riprendono il cammino, nonostante le difficoltà, pur di arrivare alla meta agognata. Il Danish Refugee Council, una autorevole ONG, ha documentato oltre 15mila respingimenti sul confine tra Bosnia e Croazia tra gennaio e novembre 2020. In altre parole, oltre quindicimila persone arrivate in Europa sono state ricacciate in Bosnia con modi spesso violenti. E questo è accaduto anche in Slovenia e purtroppo anche ai confini con l’Italia: una sistematica persecuzione dei richiedenti asilo all’interno di confini dell’Unione Europea!

La situazione già precaria dei migranti in Bosnia Erzegovina si è ulteriormente aggravata, dopo l’incendio che ha distrutto il campo di accoglienza Lipa, sia per il peggioramento delle condizioni meteo, sia per i continui trasferimenti da un campo profughi all’altro, in strutture dove mancano le condizioni minime per una sopravvivenza dignitosa. Le 1.200 persone ospitate al momento della chiusura sono finite per strada senza una sistemazione alternativa, con la conseguenza di una possibile catastrofe umanitaria che può condurre anche a violenze e gravi tensioni sociali. 

Una situazione questa della Bosnia che riporta l’attenzione anche sulla Rotta Balcanica che inizia in Grecia e finisce in Italia o in Austria. Una rotta che vede bloccate migliaia di persone in vari campi profughi e in altre soluzioni inadeguate, tanto più che con l’emergenza sanitaria causata dalla pandemia di Covid-19, molti migranti in transito, ospitati in strutture inidonee, sono stati messi in quarantena in condizioni proibitive. Strutture e campi, già di per sé inadeguati e sovraffollati, si sono trasformati in luoghi di condizioni estreme e non più sostenibili: senza servizi, in situazioni igieniche pessime, con gravi rischi per la salute anche psichica dei migranti, molti dei quali sono costretti a vivere all’addiaccio. È  di settembre 2020 la tragedia del Campo di Moria nell’isola di Lesbo, nel quale andarono distrutte tutte le strutture di accoglienza già fatiscenti. Una situazione di abbandono e disinteresse da parte delle autorità locali ed internazionali.

L’Unione Europea, che ha trovato strategie comuni per far fronte al Covid-19 non ha ancora avuto la forza, o il coraggio, di affrontare questo problema in modo efficace e rispettoso dei diritti, dei quali l’Europa dovrebbe essere portatrice.

Ma anche il nostro paese, e noi stessi, concentrati sulla pandemia che ci ha travolti, sembriamo incapaci di com-passione, di soffrire insieme e di farci carico delle sofferenze degli altri.

Papa Francesco ci ricorda che “oggi più che mai abbiamo bisogno di fraternità. Non una fraternità fatta di belle parole, di ideali astratti, di vaghi sentimenti….No. Una fraternità basata sull’amore reale, capace di incontrare l’altro diverso da me, di com-patire le sue sofferenze, di avvicinarsi e prendersene cura anche se non è della mia famiglia, della mia etnia, della mia religione; è diverso da me ma è mio fratello, è mia sorella. E questo vale anche nei rapporti tra i popoli e le nazioni: fratelli tutti”

Di fronte alle sfide del nostro tempo, che non conoscono confini, “non si possono erigere barriere” solo facendoci davvero fratelli possiamo recuperare umanità e compassione. (Rosanna Tommasi)