Da parecchio tempo mi sto chiedendo come mai molte delle persone che vengono in chiesa hanno una vaga, meglio sarebbe dire confusa, idea del Dio in cui crediamo. Non parliamo, poi, dei punti più salienti della nostra fede. Sono anche sempre più convinto che sia necessario rivedere il concetto di Dio che andiamo predicando da secoli. Comparandolo con il volto di Dio predicatoci da Gesù, mi pare davvero necessario che si debba rivedere più di qualche cosa.
Mi conforta in questo mio cercare, un articolo di Luciano Eusebi, che si definisce un non teologo, apparso nell’ultimo numero di Regno attualità (16/2022) dove si chiede: “In che cosa crediamo?”, e dove pone un interrogativo che merita una attenta presa di coscienza. “Non sono un teologo; ma da fedele laico avverto da tempo l’esigenza che la Chiesa affronti seriamente il problema di lasciar intendere, oggi, in che cosa credono i cristiani. Superando l’alibi della secolarizzazione, che consente di riferire ad extra ogni responsabilità per la diffusa indifferenza religiosa: davvero siamo incompresi, o piuttosto non ci facciamo comprendere?”
E’ soprattutto questo secondo interrogativo a preoccupare e a essere ritenuto centrale dall’autore dell’articolo citato. Egli è convinto che “la diffusione della stessa fede cristiana non può che dipendere dal saper rendere chiaro, secondo un linguaggio capace d’interpellare ciascun individuo, il significato dei testi sacri o dottrinali e, in tal modo, dal saper motivare a credere (cf. 1Pt, 3,15). … Un’esigenza, quella dello spiegare, che non investe solo i testi veterotestamentari, ma anche i brani dei Vangeli, i quali costituiscono il frutto di elaborazioni catechetiche delle prime comunità cristiane e i cui linguaggi – specie quando tali brani sono estratti, come monadi, dall’intero – possono ben indurre a equivoci anche gravi (non diversamente dagli altri scritti del Nuovo Testamento).
E lo stesso vale per le preghiere fondamentalissime del cristiano, che molti, tuttora, non hanno dimenticato, come ancor più per il credo, che pure dovrebbe costituire la sintesi – il manifesto – della fede. Ma vale anche rispetto ai contenuti delle liturgie, che andrebbero resi percepibili oltre i confini ristretti di chi tuttora le frequenta, e in particolare ai più giovani. Né si può trascurare il bisogno di tracce per la preghiera e per l’ascolto della parola di Dio che non s’identifichino con le modalità della Liturgia delle ore, realisticamente inadatte alle dinamiche di vita della maggioranza dei fedeli”.
A volte penso che lungo i secoli, per una serie di cause concomitanti, la fede cristiana si sia trasformata troppo in una religione, cioè in un insieme di potere, di norme religiose, istituzioni, rituali e comportamenti etici.
Siamo di fronte a un problema reale a cui tutti dobbiamo rispondere insieme unendo le nostre esperienze e la nostra sete di verità.
Frate Roberto Giraldo