Sta uscendo in edicola una collana di libri intitolata “I Manuali del Corriere della Sera” tutti incentrati sul Medioevo. La collana è curata dal noto storico Franco Cardini che nella sua Presentazione spiega il perché dell’interesse per un tempo che a molti appare lontano, poco interessante e piuttosto trascurabile. Al di là dell’opinione che abbiamo su quel periodo di tempo, il medioevo è storia nostra e ci riguarda tuttora perché ha sempre continuato a rivivere in una forma o in un’altra. Un’epoca con tutto il suo bagaglio, del resto, non muore quando ne comincia un’altra, ma continua, si trasforma e di tanto in tanto riemerge. Lo constatiamo anche oggi! Purtroppo, più che la ricerca scientifica, «il medievalismo trionfa e dilaga nelle librerie tra Umberto Eco e Ken Follet, nelle strade e per le piazze delle città d’arte con i “Festival del Medioevo”, le “Quintane” e i “Calendimaggio”, sul grande e sul piccolo schermo tra Il Signore degli Anelli e Il Trono di Spade, tra i videogiochi con Assassin’s Creed.» Di qui l’utilità e la ragione della pubblicazione di sicuri studi storici sul medioevo. Visto che la nostra Europa affonda qui le sue radici, mi riprometto di leggere questi volumi e di condividere con voi quanto troverò di interessante e di curioso che possa contribuire a una migliore conoscenza della storia stessa.
Che ce ne sia bisogno, lo capiamo immediatamente dalla Presentazione, Perché il Medioevo. Una proposta di lettura, che Franco Cardini fa del primo volume della collana: HUIZINGA Johan, L’autunno del medioevo, ed. Corriere della Sera, Milano 2021.
E’ piuttosto colorito e deciso il modo di introdurci nel Medioevo da parte di Franco Cardini, che ci richiama al linguaggio tipico con cui ci si riferisce generalmente a quel periodo. «Si fa presto a dire medioevo. Lo dicono tutti, lo dicono sempre. Anche a sproposito: “Roba da medioevo”; “Tenebre del medioevo”; “non siamo più nel medioevo”; “Siamo ripiombati nel medioevo…” e così via.» Ma più incisivo ancora il riferimento ad una storia che tutti conosciamo e che diamo per scontata per non dire sacrosanta.
«Anni fa, in una di quelle cittadine toscane tutte pietra bigia e mattoni rossi, immerse tra le vigne e gli ulivi e strapiene, appunto, di ricordi medievali – in gran parte finti: chiese romaniche rifatte nell’Ottocento, castelli dalle torri merlate stile D’Annunzio o Sem Benelli eccetera -, un gruppo di brave insegnanti elementari ebbe l’idea di mettere in scena con i ragazzi l’antica leggenda dell’Anno Mille. Furono coinvolte le famiglie degli allievi e, poco prima delle vacanze di Natale, si cominciarono le prove. Fu spiegato, con un racconto facile e piacevole, come secondo un antico racconto l’ultima sera del primo millennio dopo Cristo, quindi alla fine del 999 (o del 1000?), tutti i buoni cristiani si riunirono tremanti attorno ai loro campanili aspettando la terribile tromba angelica che avrebbe annunziato la Fine del Mondo e il Giudizio Universale. Passò così l’intera notte; poi, avvicinatasi l’alba, il popolo cristiano – un po’ deluso ma in fondo felice – si rese conto che quella profezia era una bufala. Tutti rientrarono alle loro case e ripresero a vivere e a lavorare con gioia e fiducia, pieni di un nuovo senso di libertà. Così le tenebre del medioevo si erano diradate. Una buona signora, animatrice dello spettacolo, aveva perfino elaborato una filastrocca che i bambini intonarono con convinzione, formando un allegro girotondo: “Che sollievo, che sollievo, è finito il medioevo…”.
Ma finì subito anche l’incantesimo. Un giovane docente fresco di studi, laureato in Storia medievale, obiettò che non si poteva fare. Nessuno nel medioevo, avrebbe mai potuto dire quando fu l’ultima notte dell’anno: né del 1000, né di alcun altro. Era da escludersi il 31 dicembre: usanza romana e moderna, ma non medievale. Quasi ogni comunità osservava allora un calendario diverso: a Roma e in molte aree dell’Italia e della Germania l’anno nuovo cominciava a Natale, a Firenze e a Pisa il 25 marzo per l’Annunciazione, a Venezia il 1° marzo (“stile veneto”), ad Amalfi il 1° settembre (“stile bizantino”), in Francia addirittura la domenica di Pasqua, quindi un giorno diverso ogni anno perché questa festa è determinata dall’equinozio lunare di primavera…
Né bastava ancora. Qualche altro erudito guastafeste aggiunse che mica si era cominciato subito a datare gli anni dalla presunta nascita di Gesù. Per alcuni secoli si era continuato con la fondazione di Roma, nel 753 a.C.; poi, fra IV e VII secolo, si era usata la cosiddetta “Era dei Martiri”, con avvio nel 284 d.C.; e in Spagna si era usato a lungo far cominciare sì l’anno dal 1° gennaio, secondo l’uso romano antico, ma facendo iniziare il computo calendariale dal 38 a.C., anno nel quale ufficialmente le truppe di Augusto avevano sottomesso la penisola iberica.»
Perché questo racconto?
«L’aneddoto – peraltro rigorosamente, anzi autobiograficamente autentico – illustra bene quanto sia facile e al tempo stesso incerto, problematico e fallace parlar di medioevo.»
In realtà del medioevo non sappiamo né quando è cominciato, né cosa abbia messo in moto “la grande macchina medievale”. E quali le ragioni della sua decadenza e del suo tramonto o autunno?
Tante le cause più o meno plausibili, ma un fatto è certo: oltre la crisi provocata dal «terribile Trecento con le sue epidemie, le sue carestie, le sue guerre», alla fine del Quattrocento e agli inizi del Cinquecento lo scenario cambia completamente con l’ampliarsi del mondo dovuto alle scoperte e ai viaggi. E’ però un mondo che, a differenza del vecchio che era sempre rimasto semi-inesplorato e mai posseduto del tutto nonostante la sua piccolezza, si lascerà esplorare, conquistare, dominare e possedere dalla volontà, dalla tecnologia, dalle navi e dai cannoni. Cambia totalmente il rapporto dell’uomo con il mondo che diventa il luogo del suo trionfo: homo faber fortunae suae. “L’avanzante Modernità” inoltre, si presenta, contrapponendosi al medioevo ritenuto un semplice periodo di mezzo, di passaggio di scarsa importanza, come “Ritorno all’Antico”. E questo, nonostante che il medioevo sia «stato percorso da progressive, sempre nuove “rinascite” dell’antichità, sentita essenzialmente come quella romana: così le successive “rinascite” carolingia nel IX secolo, ottoniana nel X-XI, “neoplatonico-chartrense” nel XII, che avevano preluso a quel Duecento scolastico e mercantile che fu detto saeculum modernum.» Che triste aver tacciato il medioevo con un «”non-nome”: media tempestas, medium aevum, età mediana di passaggio tra la grande età antica e quella presente» e constatare che la divulgazione della conoscenza ha puntato a «focalizzarsi sul rapporto tra la civilisation dell’Età Moderna e la barbarie, la superstition, l’ignorance, la violence, la tyrannie d’un ispido e oscuro medioevo, un buio rischiarato solo dalle fiamme dei roghi.»
Fra Roberto Giraldo